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I Paesaggi Collaterali di Antonio Ottomanelli

Le conseguenze della guerra raccontate attraverso uno sguardo esterno ma perlustrativo, che penetra con la stessa efficacia di un doloroso dettaglio. Sono le immagini di Antonio Ottomanelli, che testimonia con la serie «Collateral Landscape» la situazione urbana postbellica in regioni del Medio Oriente come Iraq, Afganistan e Palestina in cui la distruzione degli spazi è all’ordine del giorno.

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Google celebra Saul Bass, graphic designer americano

Il più versatile e innovativo graphic designer del ventesimo secolo.
Google celebra oggi, mercoledì 8 Maggio 2013, il talento e la creatività di Saul Bass.

Google celebra Saul Bass

Nato a New York 93 anni fa, Bass fu regista, progettista grafico, fotografo, illustratore e pubblicitario, nonché il più richiesto creatore di loghi per le più grandi aziende nordamericane.

La storia del cinema ha, come titoli di testa, i suoi più riusciti progetti grafici: Bonjour Tristesse (1958), Vertigo (1958),The Shining (1980), Schindler’s List (1993) e Love in the Afternoon (1957) con Audrey Hepburn e Gary Cooper.

Il doodle, ideato per l’occasione, cita molte delle sue idee in un efficace percorso visivuale che riassume il genio dell’artista.

La caratteristica peculiare del suo stile, che fu anche la sua innovazione, era l’estrema essenzialità delle forme che insieme alla significativa e mai banale scelta di montaggio, gli permisero di trasformare le sequenze introduttive dei film in vere e proprie opere d’arte. Se i titoli di testa dei film non sono più una serie ordinata di parole bianche in dissolvenza, il cinema che conosciamo oggi deve ringraziare Saul Bass.

Ha segnato il ricordo visivo delle pellicole a cui ha preso parte, rendendo indimenticabili anche le sue collaborazioni con alcuni tra i più grandi registi del secolo, tra cui Alfred Hitchcock, Otto Preminger, Billy Wilder, Stanley Kubrick e Martin Scorsese.

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L’arte è un romanzo – la straordinaria storia delle parole che diventano immagini

Ho bisogno di sognare. Raccontami una bella storia, una favola. Voglio dipingermi un mondo personale, voglio poterlo creare da me.
Anche se non sono più un bambino le storie mi piacciono ancora. Le leggevo, da piccolo. Le leggevo da solo le favolette; mia madre non me le raccontava, ma le piaceva regalarmi libri. In verità le parole non mi interessavano, mi raccontavo da solo le storie in base alle figure. E le raccontavo anche a chi mi stava vicino. Non mi sento speciale per questo. È l’istinto di tutti i bambini. Non mi sento speciale per aver passato l’infanzia a raccontare storie incredibili agli altri. È un bisogno di tanti quello di scriversi la propria storia, il proprio romanzo nella testa.

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Incontro con Denis Rouvre al Salon de la Photo di Parigi

Dietro ogni fotografia c’è un silenzio. Un altro tempo si insedia di cui non conosciamo bene la natura, e che sembra volgere l’istante all’eternità.

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Eventi e Esposizioni

Evgen Bavcar – Carezze di Luce

Hai mai provato a scattare una fotografia ad occhi chiusi?

“Io non tocco gli oggetti ma li “guardo da vicino”. Offro alla vostra vista la trascendenza delle mie immagini che esprimono lo sguardo spirituale del mio terzo occhio”.

Questa è la frase che mi ha accolto all’entrata della mostra di Evgen Bavcar, fotografo non vedente di origine slovena naturalizzato francese.
Proprio così: fotografo non vedente.
Forse tu che leggi ti starai chiedendo proprio ora come sia possibile una cosa di questo tipo.
Chi non possiede un “sentimento della fotografia” potrebbe sostenere che sia un’azione lasciata all’avventura, uno sparare a caso attraverso una semplice arma fotografica, ma non è così: questo artista-filosofo è ispirato dagli odori e dai suoni del mondo, è guidato dal tatto e da un senso speciale che si chiama “vista interiore”. Uno squarcio sull’anima attraverso cui si possono rimettere in discussione le definizioni di tecnica e di stile della stessa fotografia.
Le sue fotografie non colpiscono per un particolare tecnicismo, piuttosto si è affascinati e anche sorpresi dalle atmosfere singolari, direi quasi eteriche che i suoi giochi di luce disegnano sulla carta.

La questione che si pone dinanzi alle sue opere è un’accettazione dell’altro, un’accettazione della diversità, di un diverso modo di guardare, di un diverso modo di fotografare, non quello consueto. Bavcar sfida le convenzioni per cui “vedere” e “guardare” siano la stessa cosa.
Per lui “il buio è uno spazio”, come intitola la sua personale esposizione presso il museo di Roma in Trastevere, le sue fotografie consistono in visioni oniriche, ma sorprendentemente reali, di oggetti illuminati da fasci di luce.
E’ facile intuire come sia irrilevante per una persona non vedente scattare di giorno o di notte, all’interno o all’esterno, per questo Bavcar usa una fonte di luce artificiale per evidenziare le forme dei soggetti, e annusando una pianta, una donna, un oggetto, toccandoli anche, li illumina nel buio, perché è così che lui mostra a noi “vedenti” le sue immagini mentali che sono aspetti invisibili del reale, e di ciò che sfugge ai nostri occhi.

“L’uomo con il martello, diceva un celebre inglese, vede chiodi ovunque. Io non sono che un artista che cerca di vedere ovunque delle immagini, anche se queste gli sono proibite”.

Quello che noi vediamo è ciò che lui ha in mente, immagini surreali e naturali al tempo stesso che lui può restituire alla nostra vista grazie al mezzo fotografico, è un luogo che oscilla tra l’indefinibile essenza dell’essere e del non essere. Noi siamo i suoi occhi e, come dice lui stesso, egli può guardare le sue stesse fotografie grazie alle descrizioni e alle emozioni che noi gli raccontiamo.

Bavcar non vede le immagini, ma produce immagini: questo sì, è un meraviglioso paradosso dell’Arte.