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Evgen Bavcar – Carezze di Luce

Hai mai provato a scattare una fotografia ad occhi chiusi?

“Io non tocco gli oggetti ma li “guardo da vicino”. Offro alla vostra vista la trascendenza delle mie immagini che esprimono lo sguardo spirituale del mio terzo occhio”.

Questa è la frase che mi ha accolto all’entrata della mostra di Evgen Bavcar, fotografo non vedente di origine slovena naturalizzato francese.
Proprio così: fotografo non vedente.
Forse tu che leggi ti starai chiedendo proprio ora come sia possibile una cosa di questo tipo.
Chi non possiede un “sentimento della fotografia” potrebbe sostenere che sia un’azione lasciata all’avventura, uno sparare a caso attraverso una semplice arma fotografica, ma non è così: questo artista-filosofo è ispirato dagli odori e dai suoni del mondo, è guidato dal tatto e da un senso speciale che si chiama “vista interiore”. Uno squarcio sull’anima attraverso cui si possono rimettere in discussione le definizioni di tecnica e di stile della stessa fotografia.
Le sue fotografie non colpiscono per un particolare tecnicismo, piuttosto si è affascinati e anche sorpresi dalle atmosfere singolari, direi quasi eteriche che i suoi giochi di luce disegnano sulla carta.

La questione che si pone dinanzi alle sue opere è un’accettazione dell’altro, un’accettazione della diversità, di un diverso modo di guardare, di un diverso modo di fotografare, non quello consueto. Bavcar sfida le convenzioni per cui “vedere” e “guardare” siano la stessa cosa.
Per lui “il buio è uno spazio”, come intitola la sua personale esposizione presso il museo di Roma in Trastevere, le sue fotografie consistono in visioni oniriche, ma sorprendentemente reali, di oggetti illuminati da fasci di luce.
E’ facile intuire come sia irrilevante per una persona non vedente scattare di giorno o di notte, all’interno o all’esterno, per questo Bavcar usa una fonte di luce artificiale per evidenziare le forme dei soggetti, e annusando una pianta, una donna, un oggetto, toccandoli anche, li illumina nel buio, perché è così che lui mostra a noi “vedenti” le sue immagini mentali che sono aspetti invisibili del reale, e di ciò che sfugge ai nostri occhi.

“L’uomo con il martello, diceva un celebre inglese, vede chiodi ovunque. Io non sono che un artista che cerca di vedere ovunque delle immagini, anche se queste gli sono proibite”.

Quello che noi vediamo è ciò che lui ha in mente, immagini surreali e naturali al tempo stesso che lui può restituire alla nostra vista grazie al mezzo fotografico, è un luogo che oscilla tra l’indefinibile essenza dell’essere e del non essere. Noi siamo i suoi occhi e, come dice lui stesso, egli può guardare le sue stesse fotografie grazie alle descrizioni e alle emozioni che noi gli raccontiamo.

Bavcar non vede le immagini, ma produce immagini: questo sì, è un meraviglioso paradosso dell’Arte.