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Steve McCurry firma il Calendario Lavazza 2015: il lavoro del fotografo è oggetto di critiche

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Forse è amato più dal pubblico che dagli stessi fotografi ma negli ultimi anni la presenza di Steve McCurry nel panorama artistico nostrano si è fatta sempre più intensa. Tra retrospettive e nuovi progetti personali, la notorietà del fotografo americano in Italia sembra ineguagliata.

Lavazza, già forte di una longeva e assidua collaborazione con il fotografo all’interno del progetto Tierra! sugella definitivamente l’intesa (forse anche sfruttando l’ondata di popolarità che avvolge la figura di uno dei più noti fotoreporter del mondo) decidendo di dare un taglio nuovo a quello che rappresenta ormai il suo progetto pubblicitario di punta. Non più il solo intento estetico ma una missione umanitaria.

Per l’edizione 2015 nasce dunque The Earth Defenders – i difensori della Terra dedicato all’Africa e alle persone comuni che lavorano quotidianamente per salvaguardare e migliorare il futuro del continente. È innegabile il carattere impegnato del progetto, che devolverà i ricavi delle vendite del calendario a 10.000 Orti in Africa, iniziativa di Slow Food volta a raccogliere fondi per la coltivazione degli orti nelle scuole, nei villaggi e nelle periferie di 25 Paesi del continente. Ma il Web in questi giorni ha dato spazio a un grande dibattito che vede il lavoro fotografico di Steve McCurry mira di diverse critiche che gli rimproverano di aver costruito una serie di immagini troppo estetizzanti, in cui manca la vera essenza del reportage. Da qui sorge spontaneo un interrogativo: come va inteso un lavoro fotografico di questo genere?

Storicamente il lavoro su commissione ha permesso agli artisti di plasmare la propria creatività sulle richieste del committente. Dunque costretto da linee guida rigide, imposte da chi paga, il creativo deve soddisfare la richiesta senza abbandonare la propria visione delle cose. Se dunque un fotoreporter, che non è propriamente definibile artista ma creativo sì, decide di accettare un lavoro pubblicitario, non sta facendo reportage, ma sta facendo a modo suo pubblicità. Un prodotto commerciale è portato a rispondere, nella maggior parte dei casi, ai canoni imposti dalla comunicazione pubblicitaria.

Ecco quindi che la fotografia diventa saturazione dei colori e plasticità dei volumi. E in questo il Calendario Lavazza rimane coerente, perché di fotografia pubblicitaria si tratta, da vent’anni a questa parte. Dove risiede la vena reportagistica del calendario? Non nella fotografia.

Steve McCurry e Lavazza hanno deciso di veicolare l’idea documentaria tipica del reportage, affidandola all’aspetto didascalico della campagna: alle descrizioni dei personaggi ritratti, alle video interviste, piuttosto che alla tecnica fotografica, che risulta eccessiva nella post produzione digitale. Quindi via libera a Photoshop e allo stile patinato, perché non si tratta dell’ultimo reportage in Africa del fotoreporter, ma di una campagna, che al di là della missione umanitaria rimane pur sempre pubblicità.

Così, pur essendo la prima volta che Lavazza non propone un calendario con protagonisti modelle e modelli professionisti, tecnicamente i soggetti ritratti da McCurry posano in un set costruito ad hoc, con tanto di tazzina in mano, come a ricordarci che difficilmente il mondo pubblicitario incontra lo stile del reportage.

Gallery: il calendario Lavazza 2015

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Tim Hailand, la sperimentazione artistica e l’immaginario eroico in “Toile de Jouy”

Il lavoro artistico di Tim Hailand è estremamente accattivante. L’oggetto delle sue fotografie, sebbene di carattere figurativo, non è immediatamente riconoscibile. E’ solamente scrutando con attenzione che le sue immagini rivelano il loro contenuto.

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La serie Toile de Jouy è composta di fotografie dal cromatismo soffuso ma di carattere vigoroso, il cui principio portante è il presente, delle immagini fotografiche, che dialoga con un’atmosfera che proviene dal passato.

L’ispirazione è nata quando, in occasione di una residenza d’artista a Giverny ebbe l’occasione di vivere e lavorare nei luoghi che furono di ispirazione al pittore Claude Monet.
La Normandia è notoriamente un luogo piuttosto piovoso e contrariamente all’intento iniziale di immergersi negli spazi esterni, fra terreni e giardini sontuosi e stravaganti Tim ha dovuto trascorrere la maggior parte del tempo nella sua stanza.
Da qui nasce l’ispirazione, quasi automaticamente, poiché le pareti della stanza erano ricoperte da una carta in cotone bianco, con disegni pastorali di colore rosso, tecnicamente si tratta dallaToile de Jouy, prodotta nell‘éxagone a partire dalla metà del ’700.
Durante il suo soggiorno Tim si ritrova spesso a fissare quei disegni campestri della vita rurale francese d’un tempo e ne diventa presto ossessionato.
La sua creatività si è subito attivata: ha l’idea di stampare le sue fotografie su una carta simile che aveva acquistato, ma dopo vari tentativi falliti decide di reperire proprio quel tessuto specifico e di inserirlo direttamente nella sua stampante Epson.

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Il risultato è una collezione di immagini stupefacenti, in cui l’osservatore è portato a riflettere su ciò che si trova davanti: un prodotto che supera l’immagine fotografica e che si unisce agli elementi grafici del materiale su cui l’immagine è stampata. In questo modo i soggetti umani assumono tratti ambigui e astratti, caratterizzati da elementi grafici quasi come fossero individui ricoperti da tatuaggi o mascherati, truccati o travestiti. Un lavoro, quello di Tim Hailand, che porta a riflettere su una serie di dicotomie universali come l’interno e l’esterno, il reale ed il falso, la luce e il buio. Contrasti che possono riferirsi alla stessa natura umana, alla rappresentazione del maschile e del femminile, al concetto di ambiguità e alla coscienza della percezione visiva.

Una riflessione che gli ha consentito di investigare altrettanto profondamente lasperimentazione tecnica che risulta nella giustapposizione di immagini (quasi grezze dal punto di vista tecnico) e il mondo pittoresco dipinto sul materiale, creando un nuovo regno visuale e concettuale.

I soggetti scelti da Hailand, che siano artisti, atleti, attori, musicisti o modelli, rappresentano tutti in un certo senso delle figure eroiche. Ritrarli fotograficamente è parte di un processo creativo volto a definire una personale mitologia, quasi attribuendo loro uno status di eroe bucolico.

“I miei soggetti sono, per me, versioni idealizzate di loro stessi, cosi come la toile de jouy rapresenta una interpretazione romanticizzata della realtà pastorale nel 18esimo secolo Francese”.

Attratto da sempre dalla bellezza, Tim Hailand cerca di manifestare questo tratto all’interno delle sue opere ed ecco che il bello rappresenta la forza trainante del suo lavoro.

Profondamente distante dalla manipolazione digitale, questo artista cerca un rapporto fisico con le immagini. C’è una dimensione di casualità nelle sue opere che è dettata dall’eventualità della realizzazione.  Egli lascia che il materiale lo guidi come se fosse quest’ultimo a decidere come riempire gli spazi.

Oltre ai soggetti maschili di questa serie, sono particolarmente suggestivi anche i ritratti di Marina Abramovich.

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L’armonia universale nella fotografia di Masao Yamamoto

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C’è una dimensione per tutto. Tutto ha una propria misura. Anche le fotografie di Masao Yamamoto, tutte di piccolo formato, affinché possa tenerle interamente in una mano. Un artista caratterizzato da una particolare sensibilità; si ispira alla filosofia Zen e all’idea che lameditazione e la ricerca della bellezza giochino un ruolo essenziale nello sviluppo dell’essere umano. Le radici filosofiche e spirituali di Yamamoto contribuiscono al suo distintivo stile fotografico, nel quale l’ordinario è rivelato come qualcosa di straordinario.

Nato a Gamagory City nel 1957, nella prefettura giapponese di Aichi, Yamamoto si è avvicinato all’arte iniziando a studiare pittura ad olio, per poi decidere di esprimersi con il mezzo fotografico.

Le sue immagini più note hanno come protagonista la natura, attimi di vita ordinaria, paesaggi, dettagli di figure femminili, cieli, acqua e terra, piante e animali.

Le fotografie in piccola scala di Yamamoto sono oggetti nel senso più vero. La loro ragione d’essere è data dalla loro dimensione e dal fatto che richiedano un’osservazione così profonda che parta dalla vista e che si realizzi nella mente.

Le sue installazioni non hanno un principio. Per l’artista stesso la storia si costruisce attorno alla prima foto installata, alla stessa maniera in cui lo spettatore può cominciare il percorso di osservazione a partire da qualsiasi punto, perché Yamamoto non racconta di storie già scritte ma di associazioni estetiche e poetiche. Allora la storia inizia dove inizia il nostro sguardo. Significante e significato rivedono il loro senso e a volte si mescolano, a volte si distanziano. In questo modo la silhouette di una donna è associata ad una montagna; o ancora un dettaglio naturale, di fili d’erba che disegnano una croce contro un cielo animato da una sola nuvola chiara,  è associato ad un incrocio tra le acque bianche del mare che ingoiano la terra in penombra.

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Ogni luogo che viviamo è fatto di piccoli dettagli che non percepiamo, di eventi che accadono ma che semplicemente non notiamo. Masao Yamamoto cerca di catturarli nelle sue istantanee, trasformando la banale quotidianità, in un qualcosa dal più ampio significato.

Il carattere estetico delle sue immagini è qualcosa di unico: è sottile, raffinato e potente al tempo stesso. È il risultato di un lavoro estremamente accurato che sfrutta tecniche manuali di diverso genere. Sperimenta con la superficie delle fotografie, dipingendo su esse, logorandone i bordi o tingendole in bagni di tè. Così il tempo sembra averle marcate.

Probabilmente influenzato da aspetti della filosofia orientale che vedono al centro dell’armonia universale un rapporto tra il tutto e il singolo, il lavoro di Masao Yamamoto si sviluppa in serie di immagini che possono essere fruite in gruppo ma che possono anche parlare per sé, distaccate dalla concezione seriale.

Quando Yamamoto scatta una fotografia coglie questa armonia: è avvolto da un sottile flusso d’aria, respira il profumo della terra, osserva la lieve luminosità che gli oggetti restituiscono ai suoi occhi e ci regala immagini che sembrano ricordi inventati: offuscati ma familiari e inspiegabilmente intimi.

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Le fotografie di Masao Yamamoto fanno parte di collezioni internazionali, ospitate presso musei come il Victoria & Albert Museum di Londra; Il Philadelphia Museum of Art; Il Museum of Fine Arts di Houston e l’ International Center of Photography di New York.

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UYW issue 29 – A bimestral photographic journal

Screenshot-2014-02-03-00.22.55Heidi Romano è una fotografa Fine Art di Melbourne, Autralia e dal 2009 è anche fondatrice e curatrice di UYW  – Unless You Will, rivista online di fotografia, pubblicata ogni due mesi, che raccoglie e presenta le opere di artisti fotografi da tutto il mondo.

Il nuovo numero, il ventinove, online dal 1 Febbraio, presenta una sottile riflessione sul mezzo fotografico, che ci tengo a condividere con voi. Si tratta dell’annullamento del gesto fotografico tradizionale, per la creazione di nuove esperienze visive, basando l’idea sul concetto di rivalutazione del materiale.
Una pratica familiare all’arte contemporanea, nelle installazioni e nelle arti visive,  che ha avuto il suo inizio con il poliedrico e visionario Andy Warhol che del riutilizzo e della reinvenzione delle immagini ha fatto la sua poetica nella propria produzione artistica visuale. Oggi questa pratica caratterizza il lavoro di importanti artisti, che spesso monopolizzano i maggiori musei del mondo: Christian Boltansky, l’italiano Francesco Vezzoli e Gerhard Richter tra tutti.

Qui tradotto per voi l’editoriale di Heidi Romano che illustra il lavoro.

UYW 29 // Febbraio 2014

Ogni nuovo progetto inizia con una idea che tenta di prendere forma nella nostra mente – il bisogno di investigare ed esplorare un sogno vago, forti sperimentazioni e spesso anche errori.

Questo numero riguarda lo sperimentare, il giocare con nuovi processi e il creare connessioni uniche con il passato; lavorare con gli archivi e fotografare le stesse foto svariate volte per creare immagini suggestive.

Non si tratta più solamente delle fotografie in sé, ma del processo dietro di loro. Si tratta di interrogare il mezzo fotografico come lo conosciamo e con cui siamo familiari.

Spesso usando immagini ritrovate o rivalutando scatti realizzati da qualcun altro, questi artisti applicano la loro visione reinventando il  mezzo. I loro progetti mostrano la fotografia come un medium che non è più tradizionale e diretto.

Andate ed esplorate l’incredibile lavoro di

Amy Friend
Dafna Talmor
Melinda Gibson
Daisuke Yokota and
Noah Wilson

 

Potete scaricare il numero 29 di UYW a questo link


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“A Natural Order” di Lucas Foglia

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Lucas Foglia ha una particolarità. Vive su un camper e gira l’America dal 2007 per raccontare storie “off-the-grid” che letteralmente vuol dire fuori dalla rete. Dalla rete sociale, dalla rete della globalizzazione.
Ha attraversato i luoghi più isolati del Tennessee, Virginia, Kentucky, Carolina del Nord e Georgia. Immergendosi completamente nelle vite delle persone che incontrava. Racconta la sua storia fatta di immagini nel libro “A Natural Order”.

Questo artista ha 29 anni, è cresciuto in una fattoria nel Long Island. I suoi genitori hanno abbracciato il back-to-the land movement negli anni ’60. Già sensibile ai temi ambientalistici, Lucas ha vissuto la sua adolescenza nel pieno dell’urbanizzazione americana, quando la terra intorno alla sua fattoria veniva trasformata in cemento. Ma i suoi genitori hanno continuato a coltivare e preservare il loro cibo, in uno stile del tutto autosufficiente, in linea con il movimento.

L’autore descrive le sue fotografie come l’interpretazione di una vita indipendente. Sono l’intimo ritratto di persone che, motivate da problemi ambientali, da credi religiosi, e dalla recessione economica globale, costruiscono le loro case usando materiali naturali, ottengono l’acqua dalle fonti vicine, coltivano e allevano il proprio cibo. Da questa serie scaturisce la gioia sincera della bellezza della natura, ma anche la difficoltà di vivere in questo modo.

“A Natural Order” è il ritratto di un’altra America, che reagisce alle preoccupazioni ambientali abbandonando le città e le periferie per vivere in completo isolamento.

L’approccio di Lucas Foglia è quello tipico di ogni reporter, incontrare le persone, stabilire una relazione con esse in modo che le fotografie siano il risultato di quel rapporto.

La fotografia per me è un meccanismo per indagare le cose. Volevo vedere se mi sarei imbattuto nell’assoluta indipendenza di queste comunità, o in individui con stili di vita completamente autosufficiente.
Ho trovato persone che vivono senza denaro, che ricavano case dagli alberi o che bevono acqua fresca dalle fonti di montagna. Ma non ho trovato nessuno che era del tutto isolato. Molti di loro avevano cellulari, computer portatili, pannelli solari con accumulatori elettronici. Anche le comunità più isolate geograficamente, che non avevano neppure un indirizzo di recapito.”

Insomma, l’uomo che non si dissocia completamente ma che seleziona i fattori essenziali della società per utilizzarli bene e non abusarne. È come se queste comunità partissero dallo stato attuale per regredire etornare alla terra.
I colori armonici e naturali sono anche iconici: fanno delle immagini, composizioni creative.
La serie è una visione pastorale e anche idealizzata di una vita sostenibile. Del resto Foglia non si trattiene dall’evidenziare l’innegabile continuità che queste comunità hanno con lo stile di vita contemporaneo.

Lucas Foglia ha scattato più di 5000 fotografie in cinque anni, ma nel libro sono stati pubblicati solamente 45 scatti. Dopo un rigoroso lavoro di editing, solo le foto migliori ridefiniscono la storia. La selezione della selezione per raccontare attraverso la pura bellezza.

Profondo e provocatorio, Lucas Foglia è l’autore di uno dei migliori libri fotografici dell’anno.

 

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Eric Ogden – A Half-Remembered Season

Nato e cresciuto nel Michigan, Eric Ogden è un fotografo americano conosciuto maggiormente per il suo lavoro da ritrattista di artisti del mondo della musica e del cinema. Celebri sono i suoi ritratti di Kevin Bacon, Penelope Cruz, Green Day e Kanye West.

Per la pillola fotografica di questo mercoledì, vogliamo presentarvi un suo lavoro più introspettivo, più personale.
La serie A Half-Remembered Season è un suggestivo racconto fatto di momenti silenziosi: in ogni immagine della serie il tempo sembra congelato, l’azione sospesa, la narrazione interrotta. Ogni scatto ci lascia riflettere su cosa può essere accaduto prima di quell’istante immortalato e cosa accadrà dopo. E’ questo che rende la fotografia di Ogden così seducente.

I colori sono saturi e la luce è egregiamente cinematografica. I paesaggi ricordano lo stile del leggendario William Eggleston che abbiamo citato in occasione dell’articolo dedicato ad Alex Prager il cui stile può essere utile per instaurare un paragone con Eric Ogden.

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Kristian Shuller, storie di bellezza – Uno stile inconfondibile

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Può essere annoverato nell‘Olimpo dei fotografi di moda contemporanei, il suo stile fotografico è riconoscibile al primo colpo d’occhio. Se ancora non lo conoscete è arrivato il momento di scoprire il suo lavoro: Kristian Shuller, è nato in Romania, con la famiglia si trasferisce presto in Germania, dove studia fashion design con Vivienne Westwood e fotografia presso la University of Fine Arts di Berlino. Oggi vive e lavora a Parigi.

Panneggi e colori pastello sono la cornice in cui Kristian Shuller ambienta le sue storie. Una pulizia scenografica che poche volte capita di incontrare.
Sua la firma sull’edizione 2013 del Calendario Campari, tutte le riviste di moda sognano, prima o poi, di pubblicare un suo lavoro editoriale, e noi vogliamo farvelo gustare nella pillola fotografica di oggi.

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Kristian Shuller, storie di bellezza

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Il lavoro Editoriale di Marco Grob – L’arte del patinato

Marco Grob, svizzero, nato nel 1965 ha iniziato la sua carriera come fotografo still life. Ma nel 2003 decide di cambiare genere e si concentra esclusivamente sul ritratto.
Una tecnica classica ma che traspira innovazione e personalità. I suoi lavori appaiono regolarmente sulle più importanti pubblicazioni mondiali, tra cui Vogue, The New York Times Magazine, Wired.
Numerose celebrità sono passate davanti al suo obiettivo e il suo portfolio ci regala ritratti estremamente affascinanti.
Quello che vogliamo presentarvi oggi, però è il suo lavoro esclusivamente editoriale, dedicato alle riviste patinate. Una serie di immagini, soprattutto di nudo, che ci mostrano come la tecnica sia utilizzabile per creare qualcosa di formalmente personale.

Marco Grob

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“Explosure” di Tierney Gearon – Le suggestioni narrative della doppia esposizione

Le sue fotografie sono state definite “manipolatrici, sconvolgentemente ambigue e perverse”. Quando la sua serie “I Am a Camera”, con protagonisti i suoi due bambini, è stata esposta a Londra, la polizia ha imposto di smontare l’esposizione.
Per tutti i nostri lettori che aspettano una dose rivitalizzante di Fotografia Contemporanea ecco le immagini di Tierney Gearon, personali, innocenti e pure.

“Explosure” di Tierney GearonNata ad Atlanta, nel 1963, Tierney Gearon è un’acclamata fotografa contemporanea. Ha ottenuto un elevato successo di critica e di pubblico per il suo stile intenso e colorato. Premiata con importanti riconoscimenti per le sue immagini di potente impatto visivo, Tierney non si è accostata alla fotografia in maniera tradizionale. Lo scopo della sua vita era sempre stato quello di diventare madre. Dopo essere stata modella e commercial photographer per anni, il suo matrimonio è misaremente fallito. Così, da allora ha rivolto l’obiettivo della sua fotocamera sulla sua famiglia. Scattando durante varie gite con la sua famiglia in giro per il mondo fu scoperta da Charles Saatchi dell’omonima galleria di Londra. E’ lui che la lancia sotto i riflettori dell’arte contemporanea nel 2001 quando il suo lavoro viene inserito nel progetto della Saatchi Gallery “I Am A Camera”. Il suo lavoro diventa una controversa ma sensazionale scoperta.

I progetti “The Mother Project” e “Daddy, Where are you” sono entrambi caratterizzati da un intimo sguardo sulle relazioni familiari dell’artista, in particolare su sua madre, affetta da problemi mentali. La fotografa non solo cattura la nuda intensità del loro rapporto ma celebra anche lo spirito libero della donna.

Il suo lavoro è stato esibito in svariate eminenti gallerie del mondo e importanti musei, tra cui: Gagosian Gallery, Yossi Milo, Ace Gallery, The Parrish Art Museum, e la Scottish National Portrait Gallery.

Il suo lavoro più recente, una pubblicazione di 24 pagine dedicata a 13 donne vincitrici di Oscar, intitolato Holliwood Heroines, è stato pubblicato con il New York Times magazine.

Nel 2009 Tierney Gearon spinge più in là la sua fotografia: realizza un progetto in doppia esposizione, producendo una serie di scatti in pellicola che suggeriscono incredibili narrazioni in uno stile del tutto innovativo. “Explosure”, il titolo del progetto, è caratterizzato da un’estetica suggestiva e introspettiva. I colori sono accesi ma la luce è opaca, quasi vintage. La composizione, evidentemente ricercata, è realizzata attraverso associazioni o contrasti di tipo cromatico o tematico e, a volte, entrambi i fattori contribuiscono alla tecnica narrativa.
La partecipazione emotiva dell’artista è velata dall’imperturbabile racconto di un universo onirico. Accade che lo spettatore si lasci proiettare in una storia di quotidianità infantile, naturale ed istintiva. Explosure è un diario dell’anima, discreto ed esuberante al tempo stesso, in linea con il controsenso tipico di ogni interiorità.

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“Coastline” di Zhang Xiao – Il poetico scenario della costa cinese

 “Coastline” di Zhang Xiao - Il poetico scenario della costa cinesePluripremiato nei più importanti concorsi internazionali per la fotografia contemporanea in oriente, e non solo (nel 2011 è il vincitore del prestigioso HSBC Pour la PhotographieZhang Xiao (1981, Cina), ha studiado architettura alla Yantai University. Tra il 2005 e il 2009 ha lavorato per il Chongqing Morning Post ed è attivo tuttora come freelance photographer. Il suo progetto “Coastline” si focalizza, come descrive il titolo sulla costa cinese che percorre ben 180.000 chilometri.

Per Xiao il mare è un luogo di forti emozioni e ricca immaginazione. Afferma che il mare è “l’inizio della vita e dei sogni”. Il progetto mostra anche chiaramente come la Cina stia cambiando da 30 anni a questa parte, da quando cioè ha aperto le porte alla commercializzazione.

I suoi lavori sono stati esposti in varie parti del mondo: Cina, Giappone, Germania, Inghilterra e Francia.

Per voi che attendete, ogni mercoledì, la giusta dose di fotografia contemporanea internazionale, le immagini di Costline: frammenti di quotidianità marittima colti con puro distacco. Immagini oggettive, ma nostalgiche e sempre poetiche.

“Coastline” di Zhang Xiao - Il poetico scenario della costa cinese

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Zach Gold, la nuova fotografia contemporanea

Zach GoldZach Gold, americano del 1972, è fotografo di moda e regista. Si è formato alla Parsons School of Design dove si è diplomato nel 1995. Ha collaborato con la compagnia di danza Gallim Dance, realizzando un video dal titolo Milk, in cui corpi seminudi di danzatori si agitano a rallentatore in un bagno di latte. I vostri sensi saranno rapiti; il respiro sospeso.

Anche l’omonima serie di scatti traspira pura suspance e grazie alla profondità della gamma e la nitidezza dei dettagli, Gold ci presenta scene estremamente eleganti.


Zach Gold, la nuova fotografia contemporanea

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Il reportage fotografico di George Georgiou

George GeorgiouGeorge Georgiou possiede un impressionante corpus lavorativo. Nel suo ultimo libro Fault Lines/Turkey/East/West ha focalizzato la sua attenzione sulla vita quotidiana del popolo turco, in un paese sotto forti impulsi di cambiamento.
La Turchia è in continua modernizzazione e protagonista di una forte urbanizzazione, dovuta alle migrazioni di massa dai villaggi alle città.
Oltre ad aver vissuto quattro anni e mezzo in Turchia, Georgiou ha concretizzato la sua idea di fotografia anche in Serbia, Kosovo, Georgia e Ucraina.
Le immagini che vi proponiamo sono tratte dalla serie “Fault Lines: Turkey East West”, “Transit Ukraine: After the Revolution” e “Between the Lines Part 2″.

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Cristina Nuñez – il potere dell’autoritratto

Convertire il dolore in arte. È questo lo scopo della terapia fotografica di Cristina Nuñez.
Perché l’autoritratto fotografico ha un potere terapeutico. Nel momento in cui realizziamo un autoscatto siamo allo stesso tempo autori, soggetti e spettatori. Quando riusciamo a materializzare il nostro dolore ce ne liberiamo: dal momento che ne facciamo un oggetto distinto esso non è più parte di noi, possiamo osservarlo con i nostri stessi occhi, prenderne coscienza e superarlo.

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Yann Arthus-Bertrand, l’atelier del maestro inaugura a Parigi

Il prossimo 18 Luglio inaugurerà a Parigi una galleria d’arte dedicata completamente alla fotografia. Basta un nome per capire di cosa parliamo: Yann Arthus-Bertrand, che per chi non lo conoscesse è il sinonimo di fotografia nell’exagone. Non solamente per l’indiscutibile livello artistico e tecnico, ma anche perché unico membro (insieme a Lucien Clergue) della rinomata Académie des Beaux-Arts ad occupare il seggio, tutto nuovo, dedicato all’arte della fotografia francese. Una posizione che gli conferisce di diritto lo status di leggenda.

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L’erotismo emotivo di Mustafa Sabbagh

L'erotismo emotivo di Mustafa Sabbagh

Il corpo umano, quello bello perché imperfetto, consacrato in momenti di forte impulso emotivo.
L’opera d’arte come manifestazione dell’io tenero e violento. La fotografia di Mustafa Sabbagh sprigiona erotismo surreale. Tale perché fuori dall’ordinaria percezione visiva ma anche e soprattutto perché si rivela inaspettatamente erotico.

Non semplice fotografia di moda ma l’esaltazione del corpo e della pelle, concepita in un’ estetica che proviene dall’intimità.
Sabbagh vuole incidere sulle proprie creazioni, lontano dalle convenzioni della fotografia da copertina. Vuole qualcosa che superi la forma e che si compia nello spirito, lo trova nel rapporto incondizionato che instaura col soggetto, di fiducia e confidenza.

In una dimensione luministica onirica il corpo è al limite della compostezza. Nella controversa stravaganza della posa (anti)plastica, la fotografia di Mustafa Sabbagh agisce d’istinto.
Scatti unici che sono composizioni da analizzare. La potenza figurativa che ne scaturisce attira e immobilizza l’osservatore. Egli riflettere a lungo, in un’inspiegabile attrazione verso il bello non convenzionale, supera presto l’impatto dell’illeggibilità e non trova appagamento.
Perché nel suo universo visuale tutto resta ambiguo, nei ritratti come nei paesaggi. Ma nell’ambiguità Sabbagh opera il suo processo di purificazione, che ricalca l’intimità dell’altro nel suo concetto più esteso. Infatti egli ama i difetti dell’altro: è cantore della diversità, dell’imperfezione caratterizzante che conferisce il grado di bellezza audace, che mette a disagio.

I suoi dittici di paesaggio e figura umana vivono di associazioni gentili e silenziose, puramente ideali.
E nei ritratti singoli la maschera regala al fotografo l’occasione per appropriarsi della nuda sincerità del soggetto, ma anche di essere la guida rassicurante che adopera delicatamente la vulnerabilità dell’altro.
Il soggetto mascherato rinuncia al consueto rapportarsi con la realtà, per lui non esistono più barriere né tabù e Sabbagh lo trascina in uno spazio emozionale che diventa impressionabile fotograficamente, quindi anche tangibile, sensibile.
Nella loro normale serietà i soggetti di Sabbagh sembrano percorsi da un brivido. Un impeto selvaggio si manifesta in una dimensione di calma incantevole.
I sensi sono in tensione, si avverte l’odore della pelle, si può respirare quell’intima bellezza e anche goderne.

Il risultato supera la fotografia: è il compimento artistico dell’emozione che diventa installazione e il mezzo fotografico è per Musafa Sabbagh lo strumento adatto per realizzare un’opera d’arte complessa e viva. Che dica la verità anche nella finzione.

 Ogni uomo è meno se stesso quando parla in prima persona. Dategli una maschera e vi dirà la verità.
Oscar Wilde

 
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I Paesaggi Collaterali di Antonio Ottomanelli

Le conseguenze della guerra raccontate attraverso uno sguardo esterno ma perlustrativo, che penetra con la stessa efficacia di un doloroso dettaglio. Sono le immagini di Antonio Ottomanelli, che testimonia con la serie «Collateral Landscape» la situazione urbana postbellica in regioni del Medio Oriente come Iraq, Afganistan e Palestina in cui la distruzione degli spazi è all’ordine del giorno.

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I Tableaux Vivants di Bill Gekas

Sarà a causa della mia passione per la luce, quella di Rembrandt, e i panneggi fiamminghi ma navigando nella rete la mia attenzione è stata catturata da una fotografia che rievocava proprio questi due elementi. Una bambina intenta a pelare patate, con lo sguardo perso nel vuoto, e tutt’intorno quell’atmosfera tipica di un quadro del seicento.
Ed ecco qui, ho trovato l’australiano Bill Gekas, la cui serie di ritratti della sua piccola figlioletta di 5 anni merita mille volte più di tanti altri glamourfotografi di cui avrei potuto parlarvi.

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La surreale ‘mise en scène’ di Christian Tagliavini

Si tratta di un’interpretazione attenta e fresca. Una mise en scène  con una vena di surrealismo straniante che trasporta l’osservatore in uno spazio non tangibile, una sorta di limbo che ci lascia sospesi tra il calore di un universo familiare e la fredda realtà della messinscena.
Un approccio nuovo, autentico.

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Babele, l’inizio della fine

“… l’uno non comprenderà la parola dell’altro e siano essi dispersi fra i paesi e i
popoli, e non vi sia più, così, fra di loro, un solo modo di intendersi,
fino al giorno del giudizio”.

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Incontro con Denis Rouvre al Salon de la Photo di Parigi

Dietro ogni fotografia c’è un silenzio. Un altro tempo si insedia di cui non conosciamo bene la natura, e che sembra volgere l’istante all’eternità.

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