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Tim Hailand, la sperimentazione artistica e l’immaginario eroico in “Toile de Jouy”

Il lavoro artistico di Tim Hailand è estremamente accattivante. L’oggetto delle sue fotografie, sebbene di carattere figurativo, non è immediatamente riconoscibile. E’ solamente scrutando con attenzione che le sue immagini rivelano il loro contenuto.

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La serie Toile de Jouy è composta di fotografie dal cromatismo soffuso ma di carattere vigoroso, il cui principio portante è il presente, delle immagini fotografiche, che dialoga con un’atmosfera che proviene dal passato.

L’ispirazione è nata quando, in occasione di una residenza d’artista a Giverny ebbe l’occasione di vivere e lavorare nei luoghi che furono di ispirazione al pittore Claude Monet.
La Normandia è notoriamente un luogo piuttosto piovoso e contrariamente all’intento iniziale di immergersi negli spazi esterni, fra terreni e giardini sontuosi e stravaganti Tim ha dovuto trascorrere la maggior parte del tempo nella sua stanza.
Da qui nasce l’ispirazione, quasi automaticamente, poiché le pareti della stanza erano ricoperte da una carta in cotone bianco, con disegni pastorali di colore rosso, tecnicamente si tratta dallaToile de Jouy, prodotta nell‘éxagone a partire dalla metà del ’700.
Durante il suo soggiorno Tim si ritrova spesso a fissare quei disegni campestri della vita rurale francese d’un tempo e ne diventa presto ossessionato.
La sua creatività si è subito attivata: ha l’idea di stampare le sue fotografie su una carta simile che aveva acquistato, ma dopo vari tentativi falliti decide di reperire proprio quel tessuto specifico e di inserirlo direttamente nella sua stampante Epson.

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Il risultato è una collezione di immagini stupefacenti, in cui l’osservatore è portato a riflettere su ciò che si trova davanti: un prodotto che supera l’immagine fotografica e che si unisce agli elementi grafici del materiale su cui l’immagine è stampata. In questo modo i soggetti umani assumono tratti ambigui e astratti, caratterizzati da elementi grafici quasi come fossero individui ricoperti da tatuaggi o mascherati, truccati o travestiti. Un lavoro, quello di Tim Hailand, che porta a riflettere su una serie di dicotomie universali come l’interno e l’esterno, il reale ed il falso, la luce e il buio. Contrasti che possono riferirsi alla stessa natura umana, alla rappresentazione del maschile e del femminile, al concetto di ambiguità e alla coscienza della percezione visiva.

Una riflessione che gli ha consentito di investigare altrettanto profondamente lasperimentazione tecnica che risulta nella giustapposizione di immagini (quasi grezze dal punto di vista tecnico) e il mondo pittoresco dipinto sul materiale, creando un nuovo regno visuale e concettuale.

I soggetti scelti da Hailand, che siano artisti, atleti, attori, musicisti o modelli, rappresentano tutti in un certo senso delle figure eroiche. Ritrarli fotograficamente è parte di un processo creativo volto a definire una personale mitologia, quasi attribuendo loro uno status di eroe bucolico.

“I miei soggetti sono, per me, versioni idealizzate di loro stessi, cosi come la toile de jouy rapresenta una interpretazione romanticizzata della realtà pastorale nel 18esimo secolo Francese”.

Attratto da sempre dalla bellezza, Tim Hailand cerca di manifestare questo tratto all’interno delle sue opere ed ecco che il bello rappresenta la forza trainante del suo lavoro.

Profondamente distante dalla manipolazione digitale, questo artista cerca un rapporto fisico con le immagini. C’è una dimensione di casualità nelle sue opere che è dettata dall’eventualità della realizzazione.  Egli lascia che il materiale lo guidi come se fosse quest’ultimo a decidere come riempire gli spazi.

Oltre ai soggetti maschili di questa serie, sono particolarmente suggestivi anche i ritratti di Marina Abramovich.

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L’armonia universale nella fotografia di Masao Yamamoto

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C’è una dimensione per tutto. Tutto ha una propria misura. Anche le fotografie di Masao Yamamoto, tutte di piccolo formato, affinché possa tenerle interamente in una mano. Un artista caratterizzato da una particolare sensibilità; si ispira alla filosofia Zen e all’idea che lameditazione e la ricerca della bellezza giochino un ruolo essenziale nello sviluppo dell’essere umano. Le radici filosofiche e spirituali di Yamamoto contribuiscono al suo distintivo stile fotografico, nel quale l’ordinario è rivelato come qualcosa di straordinario.

Nato a Gamagory City nel 1957, nella prefettura giapponese di Aichi, Yamamoto si è avvicinato all’arte iniziando a studiare pittura ad olio, per poi decidere di esprimersi con il mezzo fotografico.

Le sue immagini più note hanno come protagonista la natura, attimi di vita ordinaria, paesaggi, dettagli di figure femminili, cieli, acqua e terra, piante e animali.

Le fotografie in piccola scala di Yamamoto sono oggetti nel senso più vero. La loro ragione d’essere è data dalla loro dimensione e dal fatto che richiedano un’osservazione così profonda che parta dalla vista e che si realizzi nella mente.

Le sue installazioni non hanno un principio. Per l’artista stesso la storia si costruisce attorno alla prima foto installata, alla stessa maniera in cui lo spettatore può cominciare il percorso di osservazione a partire da qualsiasi punto, perché Yamamoto non racconta di storie già scritte ma di associazioni estetiche e poetiche. Allora la storia inizia dove inizia il nostro sguardo. Significante e significato rivedono il loro senso e a volte si mescolano, a volte si distanziano. In questo modo la silhouette di una donna è associata ad una montagna; o ancora un dettaglio naturale, di fili d’erba che disegnano una croce contro un cielo animato da una sola nuvola chiara,  è associato ad un incrocio tra le acque bianche del mare che ingoiano la terra in penombra.

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Ogni luogo che viviamo è fatto di piccoli dettagli che non percepiamo, di eventi che accadono ma che semplicemente non notiamo. Masao Yamamoto cerca di catturarli nelle sue istantanee, trasformando la banale quotidianità, in un qualcosa dal più ampio significato.

Il carattere estetico delle sue immagini è qualcosa di unico: è sottile, raffinato e potente al tempo stesso. È il risultato di un lavoro estremamente accurato che sfrutta tecniche manuali di diverso genere. Sperimenta con la superficie delle fotografie, dipingendo su esse, logorandone i bordi o tingendole in bagni di tè. Così il tempo sembra averle marcate.

Probabilmente influenzato da aspetti della filosofia orientale che vedono al centro dell’armonia universale un rapporto tra il tutto e il singolo, il lavoro di Masao Yamamoto si sviluppa in serie di immagini che possono essere fruite in gruppo ma che possono anche parlare per sé, distaccate dalla concezione seriale.

Quando Yamamoto scatta una fotografia coglie questa armonia: è avvolto da un sottile flusso d’aria, respira il profumo della terra, osserva la lieve luminosità che gli oggetti restituiscono ai suoi occhi e ci regala immagini che sembrano ricordi inventati: offuscati ma familiari e inspiegabilmente intimi.

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Le fotografie di Masao Yamamoto fanno parte di collezioni internazionali, ospitate presso musei come il Victoria & Albert Museum di Londra; Il Philadelphia Museum of Art; Il Museum of Fine Arts di Houston e l’ International Center of Photography di New York.

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UYW issue 29 – A bimestral photographic journal

Screenshot-2014-02-03-00.22.55Heidi Romano è una fotografa Fine Art di Melbourne, Autralia e dal 2009 è anche fondatrice e curatrice di UYW  – Unless You Will, rivista online di fotografia, pubblicata ogni due mesi, che raccoglie e presenta le opere di artisti fotografi da tutto il mondo.

Il nuovo numero, il ventinove, online dal 1 Febbraio, presenta una sottile riflessione sul mezzo fotografico, che ci tengo a condividere con voi. Si tratta dell’annullamento del gesto fotografico tradizionale, per la creazione di nuove esperienze visive, basando l’idea sul concetto di rivalutazione del materiale.
Una pratica familiare all’arte contemporanea, nelle installazioni e nelle arti visive,  che ha avuto il suo inizio con il poliedrico e visionario Andy Warhol che del riutilizzo e della reinvenzione delle immagini ha fatto la sua poetica nella propria produzione artistica visuale. Oggi questa pratica caratterizza il lavoro di importanti artisti, che spesso monopolizzano i maggiori musei del mondo: Christian Boltansky, l’italiano Francesco Vezzoli e Gerhard Richter tra tutti.

Qui tradotto per voi l’editoriale di Heidi Romano che illustra il lavoro.

UYW 29 // Febbraio 2014

Ogni nuovo progetto inizia con una idea che tenta di prendere forma nella nostra mente – il bisogno di investigare ed esplorare un sogno vago, forti sperimentazioni e spesso anche errori.

Questo numero riguarda lo sperimentare, il giocare con nuovi processi e il creare connessioni uniche con il passato; lavorare con gli archivi e fotografare le stesse foto svariate volte per creare immagini suggestive.

Non si tratta più solamente delle fotografie in sé, ma del processo dietro di loro. Si tratta di interrogare il mezzo fotografico come lo conosciamo e con cui siamo familiari.

Spesso usando immagini ritrovate o rivalutando scatti realizzati da qualcun altro, questi artisti applicano la loro visione reinventando il  mezzo. I loro progetti mostrano la fotografia come un medium che non è più tradizionale e diretto.

Andate ed esplorate l’incredibile lavoro di

Amy Friend
Dafna Talmor
Melinda Gibson
Daisuke Yokota and
Noah Wilson

 

Potete scaricare il numero 29 di UYW a questo link


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L’arte è un romanzo – la straordinaria storia delle parole che diventano immagini

Ho bisogno di sognare. Raccontami una bella storia, una favola. Voglio dipingermi un mondo personale, voglio poterlo creare da me.
Anche se non sono più un bambino le storie mi piacciono ancora. Le leggevo, da piccolo. Le leggevo da solo le favolette; mia madre non me le raccontava, ma le piaceva regalarmi libri. In verità le parole non mi interessavano, mi raccontavo da solo le storie in base alle figure. E le raccontavo anche a chi mi stava vicino. Non mi sento speciale per questo. È l’istinto di tutti i bambini. Non mi sento speciale per aver passato l’infanzia a raccontare storie incredibili agli altri. È un bisogno di tanti quello di scriversi la propria storia, il proprio romanzo nella testa.

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Babele, l’inizio della fine

“… l’uno non comprenderà la parola dell’altro e siano essi dispersi fra i paesi e i
popoli, e non vi sia più, così, fra di loro, un solo modo di intendersi,
fino al giorno del giudizio”.

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Le città dei sogni di Jean-François Rauzier

È delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure.
Italo Calvino

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