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Steve McCurry firma il Calendario Lavazza 2015: il lavoro del fotografo è oggetto di critiche

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Forse è amato più dal pubblico che dagli stessi fotografi ma negli ultimi anni la presenza di Steve McCurry nel panorama artistico nostrano si è fatta sempre più intensa. Tra retrospettive e nuovi progetti personali, la notorietà del fotografo americano in Italia sembra ineguagliata.

Lavazza, già forte di una longeva e assidua collaborazione con il fotografo all’interno del progetto Tierra! sugella definitivamente l’intesa (forse anche sfruttando l’ondata di popolarità che avvolge la figura di uno dei più noti fotoreporter del mondo) decidendo di dare un taglio nuovo a quello che rappresenta ormai il suo progetto pubblicitario di punta. Non più il solo intento estetico ma una missione umanitaria.

Per l’edizione 2015 nasce dunque The Earth Defenders – i difensori della Terra dedicato all’Africa e alle persone comuni che lavorano quotidianamente per salvaguardare e migliorare il futuro del continente. È innegabile il carattere impegnato del progetto, che devolverà i ricavi delle vendite del calendario a 10.000 Orti in Africa, iniziativa di Slow Food volta a raccogliere fondi per la coltivazione degli orti nelle scuole, nei villaggi e nelle periferie di 25 Paesi del continente. Ma il Web in questi giorni ha dato spazio a un grande dibattito che vede il lavoro fotografico di Steve McCurry mira di diverse critiche che gli rimproverano di aver costruito una serie di immagini troppo estetizzanti, in cui manca la vera essenza del reportage. Da qui sorge spontaneo un interrogativo: come va inteso un lavoro fotografico di questo genere?

Storicamente il lavoro su commissione ha permesso agli artisti di plasmare la propria creatività sulle richieste del committente. Dunque costretto da linee guida rigide, imposte da chi paga, il creativo deve soddisfare la richiesta senza abbandonare la propria visione delle cose. Se dunque un fotoreporter, che non è propriamente definibile artista ma creativo sì, decide di accettare un lavoro pubblicitario, non sta facendo reportage, ma sta facendo a modo suo pubblicità. Un prodotto commerciale è portato a rispondere, nella maggior parte dei casi, ai canoni imposti dalla comunicazione pubblicitaria.

Ecco quindi che la fotografia diventa saturazione dei colori e plasticità dei volumi. E in questo il Calendario Lavazza rimane coerente, perché di fotografia pubblicitaria si tratta, da vent’anni a questa parte. Dove risiede la vena reportagistica del calendario? Non nella fotografia.

Steve McCurry e Lavazza hanno deciso di veicolare l’idea documentaria tipica del reportage, affidandola all’aspetto didascalico della campagna: alle descrizioni dei personaggi ritratti, alle video interviste, piuttosto che alla tecnica fotografica, che risulta eccessiva nella post produzione digitale. Quindi via libera a Photoshop e allo stile patinato, perché non si tratta dell’ultimo reportage in Africa del fotoreporter, ma di una campagna, che al di là della missione umanitaria rimane pur sempre pubblicità.

Così, pur essendo la prima volta che Lavazza non propone un calendario con protagonisti modelle e modelli professionisti, tecnicamente i soggetti ritratti da McCurry posano in un set costruito ad hoc, con tanto di tazzina in mano, come a ricordarci che difficilmente il mondo pubblicitario incontra lo stile del reportage.

Gallery: il calendario Lavazza 2015

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