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La surreale ‘mise en scène’ di Christian Tagliavini

Si tratta di un’interpretazione attenta e fresca. Una mise en scène  con una vena di surrealismo straniante che trasporta l’osservatore in uno spazio non tangibile, una sorta di limbo che ci lascia sospesi tra il calore di un universo familiare e la fredda realtà della messinscena.
Un approccio nuovo, autentico.

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Babele, l’inizio della fine

“… l’uno non comprenderà la parola dell’altro e siano essi dispersi fra i paesi e i
popoli, e non vi sia più, così, fra di loro, un solo modo di intendersi,
fino al giorno del giudizio”.

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Incontro con Denis Rouvre al Salon de la Photo di Parigi

Dietro ogni fotografia c’è un silenzio. Un altro tempo si insedia di cui non conosciamo bene la natura, e che sembra volgere l’istante all’eternità.

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Le città dei sogni di Jean-François Rauzier

È delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure.
Italo Calvino

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La Chirurgia Cosmica di Alma Haser

Un progetto che potremmo definire di “nuove vedute”. La particolarità di questo lavoro riguarda lo sguardo, e il volto intero, dei protagonisti dei ritratti di Alma Haser.

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‘Stay Cool’. L’estate americana di RJ Shaughnessy

« Questa è la storia della giovinezza, della sua provenienza, del perché esista, e di quanto velocemente sfugga se non vi prestiamo attenzione ».

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Il melodramma cinematografico negli scatti di Alex Prager

Alex Prager, un nome pseudomaschile per identificare una donna, ma soprattutto il suo mondo tutto al femminile.

Il melodramma cinematografico negli scatti di Alex PragerCaliforniana e autodidatta, nasce nel ’79 a Los Angeles, e si sta affermando da qualche anno come una delle migliori rivelazioni dell’arte contemporanea americana. Le sue immagini raccontano di donne, delle loro possibili sofferenze e dei loro sentimenti, rivelati attraverso lo stereotipo di un’epoca, quella degli anni sessanta. Il suo lavoro è caratterizzato da un’estetica estremamente ricercata, a cui si mescola la dimensione culturale pop d’oltreoceano che tutti conosciamo. Questa giovane fotografa e regista crea il suo personale e intenso mondo onirico, coltivandolo in un terreno psichico al limite dell’inquietudine.
“Inquietudine” è la parola chiave per interpretare lo stile di questa artista, insieme a “cinematografico”; esse rappresentano i due principali elementi d’ispirazione per il suo lavoro. Si tratta delle atmosfere conturbanti di Hitchcok; di un’ambientazione coloristica proveniente da Fellini, che come dice lei stessa influenza la sua visione sulla saturazione del colore e sulla luce; ma anche di una dimensione melodrammatica tipica di Douglas Sirk, il re del melò americano.

In questo modo, nelle sue fotografie Alex raccoglie tutte le tensioni del melodramma cinematografico, facendo apparire le sue immagini come dei veri e propri fotogrammi di una pellicola. Sembra quasi di vedere degli istanti di un film che ti invogliano a guardarlo per intero. In questo modo lo spettatore si trova ad immaginare che la scena rappresentata sia parte di una storia, o che qualcosa debba accadere, finendo per ideare un film personale.

Continuando ad osservare le sue fotografie si nota come esse non siano influenzate solo dall’ambiente cinematografico, come è il caso nelle inquadrature, ma tra i contrasti del suo cromatismo e nell’uso del flash si può rintracciare l’influenza della grande Cindy Sherman, e esaminando anche l’ambientazione cogliamo certamente il nome di William Eggleston; ma allo stesso modo c’è qualcosa di nuovo e inedito nelle foto di Alex che le permette di offrire uno spettacolo del tutto personale. Forse è quel qualcosa che sembra agitarsi sotto la superficie delle sue immagini, sotto la pelle truccata di quelle donne che appaiono serene e sorridenti ma che forse nascondono un profondo turbamento. “Mi piacciono le cose quando nascondono qualcosa, quando  non sono perfette, ma non voglio semplicemente creare qualcosa di inquietante, voglio che le immagini siano belle per chi le guarda”.

In un approccio sottile e mai ovvio, ciò che Alex cerca di ottenere è quindi un insieme di bellezza e inquietudine, trasformando immagini ordinarie in qualcosa di straordinario in cui tutto ha un’apparenza vagamente artificiale, un mondo dove tutto è reale e irreale allo stesso tempo. Un po’ come il nostro, solo impercettibilmente diverso.

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I ritratti senza tempo di Beth Moon

Esistono pochi luoghi su questo mondo che siano intoccati dal tempo; Beth Moon li conosce tutti.
Davanti alle sue foto ci si sente un po’ come in un luogo fantastico, i soggetti naturali hanno un sapore così seducente, e quelli umani sono avvolti in uno sfumato quasi irreale.

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‘WONDERLAND’. Il mondo incantato di Kirsty Mitchell

“La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi”, lo sa bene Kirsty Mitchell, ‘fanciulla’ inglese che attraverso il mezzo fotografico è riuscita a creare un mondo di fiabe del tutto personale.

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“Saturday Night” – Storie di un Hotel

In un silenzio palpitante che riempie la scena, c’è una donna che si trucca, un ragazzino che gioca, coppie che praticano il bondage, qualcuno che si impicca, i drammi, le gelide pulsioni sessuali e ogni sorta di vizio umano.

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Il mutare delle forme – “Dust” di Olivier Valsecchi

Come sospesi in un universo alternativo, in una dimensione indefinita dove il buio culla lo spazio, i corpi penetrano l’assenza gravitazionale.

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Esattamente come me e te

Provate a pensare cosa può accadere quando un giovane ragioniere con la passione per la fotografia decide che la sua missione di vita è aiutare i senzatetto.

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Eventi e Esposizioni

Evgen Bavcar – Carezze di Luce

Hai mai provato a scattare una fotografia ad occhi chiusi?

“Io non tocco gli oggetti ma li “guardo da vicino”. Offro alla vostra vista la trascendenza delle mie immagini che esprimono lo sguardo spirituale del mio terzo occhio”.

Questa è la frase che mi ha accolto all’entrata della mostra di Evgen Bavcar, fotografo non vedente di origine slovena naturalizzato francese.
Proprio così: fotografo non vedente.
Forse tu che leggi ti starai chiedendo proprio ora come sia possibile una cosa di questo tipo.
Chi non possiede un “sentimento della fotografia” potrebbe sostenere che sia un’azione lasciata all’avventura, uno sparare a caso attraverso una semplice arma fotografica, ma non è così: questo artista-filosofo è ispirato dagli odori e dai suoni del mondo, è guidato dal tatto e da un senso speciale che si chiama “vista interiore”. Uno squarcio sull’anima attraverso cui si possono rimettere in discussione le definizioni di tecnica e di stile della stessa fotografia.
Le sue fotografie non colpiscono per un particolare tecnicismo, piuttosto si è affascinati e anche sorpresi dalle atmosfere singolari, direi quasi eteriche che i suoi giochi di luce disegnano sulla carta.

La questione che si pone dinanzi alle sue opere è un’accettazione dell’altro, un’accettazione della diversità, di un diverso modo di guardare, di un diverso modo di fotografare, non quello consueto. Bavcar sfida le convenzioni per cui “vedere” e “guardare” siano la stessa cosa.
Per lui “il buio è uno spazio”, come intitola la sua personale esposizione presso il museo di Roma in Trastevere, le sue fotografie consistono in visioni oniriche, ma sorprendentemente reali, di oggetti illuminati da fasci di luce.
E’ facile intuire come sia irrilevante per una persona non vedente scattare di giorno o di notte, all’interno o all’esterno, per questo Bavcar usa una fonte di luce artificiale per evidenziare le forme dei soggetti, e annusando una pianta, una donna, un oggetto, toccandoli anche, li illumina nel buio, perché è così che lui mostra a noi “vedenti” le sue immagini mentali che sono aspetti invisibili del reale, e di ciò che sfugge ai nostri occhi.

“L’uomo con il martello, diceva un celebre inglese, vede chiodi ovunque. Io non sono che un artista che cerca di vedere ovunque delle immagini, anche se queste gli sono proibite”.

Quello che noi vediamo è ciò che lui ha in mente, immagini surreali e naturali al tempo stesso che lui può restituire alla nostra vista grazie al mezzo fotografico, è un luogo che oscilla tra l’indefinibile essenza dell’essere e del non essere. Noi siamo i suoi occhi e, come dice lui stesso, egli può guardare le sue stesse fotografie grazie alle descrizioni e alle emozioni che noi gli raccontiamo.

Bavcar non vede le immagini, ma produce immagini: questo sì, è un meraviglioso paradosso dell’Arte.